lunedì 25 febbraio 2013

Rituali vuoti e questioni insolubili nella cultura? Le idee positive di Adriano Gallina.

Il Teatro di Varese e il suo direttore, Filippo de Sanctis, la scorsa settimana hanno organizzato un incontro con alcuni candidati alla Regione Lombardia sul tema: "Varese è cultura?". 
L'iniziativa ha suscitato reazioni positive e al contempo delle critiche, come quelle espresse da Clara Castaldo per Artevarese, che abbiamo riportato sulla fan page del Castello di Masnago. 
Adriano Gallina, direttore di teatro e docente universitario, che non è nuovo a interventi sul tema della cultura in Italia come ben si comprende dalle sue pubblicazioni e dal suo blog (http://adriano-gallina.blogspot.it/), ha accettato per i Musei civici di mettere nero su bianco alcune idee.

La compagnia Coltelleria Einstein di Alessandria
da http://adriano-gallina.blogspot.it/

Se posso intervenire - dal piccolo "pulpito" di concretezza attestatomi nell'articolo di Clara Castaldo - mi pare che alcuni dati siano indiscutibili:



1.      Ancora una volta (ma quanto ci siamo abituati?) dal tavolo dei politici - con le dovute eccezioni - non sono arrivate risposte che non fossero sostanzialmente rituali. Il doveroso, stinto e consumato omaggio virtuale ad una componente della vita civile - la cultura - che ormai non fa più neppure la sua comparsa nel quadro dei programmi elettorali.



2.      L'appello al dialogo virtuoso tra pubblico e privato lungo l'asse della sostenibilità economica della cultura di qualità - in qualche misura ripreso nell'articolo - è invece ormai il prezzemolo (un po' allucinatorio) della nostra minestra quotidiana "ai tempi del colera del welfare".

Di quale "privato" stiamo parlando, infatti? Del crowfunding? Dell'impresa? Delle fondazioni bancarie? Degli spettatori?

In tempi di crisi nera - che ricade anche e soprattutto sui cittadini - crolla irreparabilmente la domanda di base (e analogamente crollano, se mai vi sono state, pressoché tutte le forme di mecenatismo individuale collegate al settore culturale); l'impresa - il nostro piccolo "lunpenkapitalismus" brevimirante - non ha mai costituito in Italia una credibile risorsa per cultura, se non come fonte di marginali economie accessorie; rimangono le fondazioni bancarie, ovviamente: ma vorrà pur dire qualcosa il fatto che - a fronte di una Fondazione Cariplo che persiste incredibilmente ed onorevolmente ad investire 19,5 mln annui sul settore culturale - si accompagni, in parallelo, una Regione Lombardia che ha disimpegnato nell'arco degli ultimi 10 anni (nell’Era Albertoni-Zanello-Buscemi-Aprea) circa l'80% delle risorse e che, da qui al 2015, prevede ulteriori tagli del 74%, attestando la spesa sull'ordine dello 0,01%? Questa non è crisi. E' elementare delega al privato di una funzione suplettiva pubblica, e Fondazione Cariplo è - oggi - il vero ed unico assessorato alla cultura della Lombardia.



3.      Le imprese culturali quindi, da un lato, hanno imparato a maneggiare ed interpretare correttamente i bandi, a professionalizzarsi, a dialogare con le Fondazioni bancarie e a progettare seriamente, a tentare di rafforzare la relazione con un (proprio) pubblico e a perseguire la via di una possibile "economia di sussistenza", del tutto estranea alla logica dell'assistenzialismo puro (e se sopravvivono, significa che - per quanto sempre meno - è possibile).

Dall'altro lato, tuttavia, non riteniamo che sia una necessaria istanza politica (prima ancora che un bisogno delle organizzazioni culturali) chiedere, pretendere, che l'ente pubblico faccia il proprio mestiere anche in quest’ambito, consideri la cultura come "pubblico servizio", la sostenga decorosamente, ne interpreti correttamente (e ne indirizzi) le possibili dinamiche anche economiche, di crescita, di sviluppo?

E che questo sia perseguibile - rivalutando le priorità ed invertendole, se necessario - anche nel quadro dell'attuale crisi?

E che, quindi, la scelta anche in questo campo sia sostanziale scelta politica e non, come a volte vogliono farci credere, una sorta di "legge naturale" della grande depressione, dell'Europa, del Mondo, del Sistema Solare?



4.      Quanto infine alla critica mossa dall'articolo al "senso" del dibattito, muoverei da una duplice riflessione: da un lato la presenza diffusa di operatori (che è del resto quasi una costante di queste occasioni pre-elettorali) non é che una nuova conferma del fatto che il mondo della cultura ha la necessità di confrontarsi con l’universo della politica. Di cogliere l’attimo di un momento di interlocuzione sui programmi e sulle prospettive, sebbene a volte, purtroppo, con l'atteggiamento che il ministro Bondi qualche anno fa ebbe la bontà (e lo stile) di definire "accattonaggio"). Il contrario non avviene quasi mai, se non nei termini della captatio benevolentiae pre-elettorale.

Non eccederei invece (pur apprezzando, davvero, l'entusiasmo di Filippo De Sanctis che ha organizzato l’incontro) nell'attribuire all'iniziativa un senso in prospettiva più elevato di quanto non abbia avuto: all’Apollonio gli operatori non si sono incontrati per un dialogo tra loro (per un “dià-logos”, un confronto di ragioni ed orientamenti volto ad una possibile (?) sintesi più alta, sul piano teorico ed operativo). Del resto, probabilmente, non era quella la sede e personalmente sono molto pessimista, in via generale, sulla reale possibilità di oltrepassare – motu proprio - una dimensione sostanzialmente monadica dell'arcipelago culturale, non solo varesino. E questo valga in primo luogo per me.



5.      Che un arcipelago esista (con il suo portato topologico, che rimanda all’immagine di isole ben circondate dal mare e con pochi traghetti e che tuttavia compongono un’area geografica univoca e, a suo modo, omogenea), è però indiscutibile. A dispetto della un po’ stinta litania secondo cui a Varese vi sono poche occasioni di crescita culturale, è sufficiente “fare un giro” sui media online (varesecultura in testa, oggi) per verificarne al contrario quotidianamente la densità e la frequenza: a Varese accadono, oggi, moltissime cose. Segnate a mio modo di vedere da profondi dislivelli - qualitativi, economici ed organizzativi - ma accadono.

Quel che occorre chiedersi, quindi, è semmai se questo “Tutto” varesino - che emerge dalla semplice somma delle parti - sia sufficiente. O se - al contrario e con un paradosso matematico caro alla teoria dei sistemi - non produca in realtà attualmente, proprio perché frammentato in isole non interconnesse, molto meno delle sue effettive  potenzialità.

Fuor di teoria: non è forse giunto il momento di chiederci se un tentativo di “porre a sistema” l’esistente, tentando di facilitare visioni artistico-culturali unitarie (ma soprattutto unitari percorsi promozionali, organizzativi, economici) non consentirebbe oggi di lasciar emergere qualità globali assolutamente superiori alla somma delle parti?

E’ una domanda lecita, mi pare.



6.      Da questo angolo visuale, peraltro, è interessante rilevare come – anche storicamente, nel nostro Paese – i percorsi più o meno ben riusciti di aggregazione tra organismi culturali non si siano mai avviati spontaneamente, ma sempre in presenza di chiari indirizzi ed incentivi di derivazione istituzionale (penso al vecchio bando Cariplo sulla costituzione di reti, per esempio; o all’invito alle fusioni presente nel regolamento ministeriale Veltroni sullo spettacolo del ’99). Occorre un catalizzatore istituzionale, in breve, che attivi – per restare nella metafora fisico-chimica – gli elementi di potenziale “attrazione magnetica” tra le organizzazioni culturali, facilitandone (e rendendone concretamente interessante) l’accostamento, in vista di più interessanti ed emergenti risultati d’insieme.

E’ nella promozione concreta di percorsi di questa natura – sia pur nella loro complessità – che potrebbe trovare a mio avviso senso profondo (e in fondo anche più matura dignità) la funzione politico-istituzionale in campo culturale. Non nella distribuzione di misere regalìe più o meno ben mirate, né – men che meno – nell’assunzione diretta di funzioni produttive o artistiche e nemmeno, in fondo, nella cooptazione di singoli soggetti cui viene affidato il compito di “unirsi e prolificare”: ma, al contrario,  in un’analisi dei bisogni e nella conseguente promozione di forme e contenitori – sostenuti economicamente, ovviamente nei limiti del possibile ma decorosamente – che agevolino l’incontro tra organizzazioni e la progettazione di sistemi culturali. L’idea – contro ogni obiezione di dirigismo – è che l’universo della politica si configuri come reale luogo di produzione di indirizzi su percorsi (non su contenuti) che, legittimamente, vengono ritenuti più utili e proficui per la città e, quindi, maggiormente meritevoli di incentivazione. Si tratterebbe anche per il Comune, del resto, di una qualificazione (e razionalizzazione) della spesa. Il tutto, a mio modo di vedere, lungo un’idea seria di funzione pubblica della cultura.

Riprendendo per l’ultima volta (giuro!) la metafora “campaniana” degli orticelli: inutile sperare che, spontaneamente, i piccoli e piccolissimi latifondisti abbattano le loro enclosures, ma – forse – una chiara indicazione (eterodiretta) dell’esistenza di incentivi all’apertura degli steccati e alla progettazione di nuove colture potrebbe aiutare. Credo che l’apertura al dibattito offerta da Varesecultura e dal blog del Castello di Masnago (che ringrazio per l’ospitalità) sia – possa essere – un interessante passo in questa direzione.  

E allora, ecco la proposta davvero concreta, perché non ragionare tutti - da subito e insieme al Comune – sul potenzialmente preziosissimo bando 2013 lanciato da Fondazione Cariplo  e relativo alla progettazione e costruzione di “sistemi urbani”? (http://www.fondazionecariplo.it/static/upload/aec/aec_cultura_aree_urbane_2013.pdf)?



Una domanda, credo, non accademica.

Grazie per l’accoglienza.



Adriano Gallina

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